Settembre 2013
- URBANISTICA
DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE ANCHE SE CAMBIA LA SAGOMA
La novità più rilevante introdotta dal Dl n. 69 del 2013
La novità più rilevante introdotta dal Dl n. 69 del 2013 riguarda la qualificazione giuridica degli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici preesistenti che ora possono essere compresi nella definizione di ristrutturazione edilizia anche se viene modificata la sagoma originaria.
La questione era stata affrontata già con il testo unico dell’edilizia (art. 3, comma 1, lett. d del Dpr 380/2001) nel quale il legislatore, superando la tesi di una parte della giurisprudenza secondo cui la demolizione e ricostruzione di un edificio avrebbe dovuto essere considerata come intervento di nuova edificazione, aveva compreso tali opere nella nozione di ristrutturazione edilizia alla duplice condizione che fossero conservati la sagoma e il volume preesistenti.
Il tema è ritornato all’attenzione generale a seguito dell’entrata in vigore della legge 12/2005 della Regione Lombardia la quale aveva previsto all’art. 27, comma 1, lett. d) che nella nozione di ristrutturazione edilizia dovessero essere compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma ma nel rispetto del volume preesistente.
La ratio normativa sottesa a tale disposizione era di tutta evidenza: consentire in via ordinaria e con il ricorso al titolo edilizio diretto il recupero di edifici esistenti anche attraverso profonde modifiche ma usufruendo del vantaggio connesso alla tipologia della ristrutturazione edilizia rappresentato dal diritto di conservare le caratteristiche dell’immobile preesistenti alle norme urbanistiche più restrittive entrate in vigore successivamente.
La questione era stata affrontata già con il testo unico dell’edilizia (art. 3, comma 1, lett. d del Dpr 380/2001) nel quale il legislatore, superando la tesi di una parte della giurisprudenza secondo cui la demolizione e ricostruzione di un edificio avrebbe dovuto essere considerata come intervento di nuova edificazione, aveva compreso tali opere nella nozione di ristrutturazione edilizia alla duplice condizione che fossero conservati la sagoma e il volume preesistenti.
Il tema è ritornato all’attenzione generale a seguito dell’entrata in vigore della legge 12/2005 della Regione Lombardia la quale aveva previsto all’art. 27, comma 1, lett. d) che nella nozione di ristrutturazione edilizia dovessero essere compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma ma nel rispetto del volume preesistente.
La ratio normativa sottesa a tale disposizione era di tutta evidenza: consentire in via ordinaria e con il ricorso al titolo edilizio diretto il recupero di edifici esistenti anche attraverso profonde modifiche ma usufruendo del vantaggio connesso alla tipologia della ristrutturazione edilizia rappresentato dal diritto di conservare le caratteristiche dell’immobile preesistenti alle norme urbanistiche più restrittive entrate in vigore successivamente.
A differenza della nuova edificazione che presuppone il rispetto della disciplina vigente, la ristrutturazione edilizia è un intervento volto alla conservazione e al rinnovamento di edifici esistenti con la conseguenza che sussiste il diritto del proprietario di mantenere i parametri edilizi e urbanistici dell’edificio (tra cui altezze, distanze, destinazione d’uso, volumi, superfici) a prescindere dai mutamenti successivi della disciplina urbanistica in virtù del principio tempus regit actum (vedi, ex multis Tar Puglia, sez. Lecce, sent. 2341/2006).
Il diritto di mantenere il parametro urbanistico non conforme alla norma sopravvenuta viene meno, con il conseguente obbligo di adeguamento, se il progetto prevede comunque una modifica del parametro medesimo.
Su rinvio del Tar della Lombardia di Milano, la Corte costituzionale con la sentenza n. 309 del 2011, dopo aver riconosciuto alla norma sulla ristrutturazione con demolizione e ricostruzione contenuta nel predetto art. 3 del Dpr n. 380 del 2001 la natura di principio generale della materia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 della Lr 12/2005 per contrasto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione (il quale impone, nelle materie rimesse alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, il rispetto dei principi contenuti nelle leggi statali).
La Corte costituzionale ha applicato con rigore i principi costituzionali relativi al riparto di competenze tra Stato e Regioni ma non v’è dubbio che il tema posto dalla norma della Lombardia fosse di sicura rilevanza presentando indubbi vantaggi tanto per gli operatori che per la collettività in quanto garantiva la necessaria flessibilità nel recupero dell’esistente mediante la facoltà di conservare il volume agendo con interventi intensi sulla tipologia e la sagoma dell’edificio.
Con la novella contenuta nell’art. 30 del Dl n. 69 del 2013 e la successiva legge di conversione, il legislatore nazionale è intervenuto direttamente sulla norma di principio riconoscendo così la validità della scelta seguita dalla Regione Lombardia, soprattutto in un periodo di forte crisi economica come è quello attuale.
La flessibilità nel riuso del patrimonio edilizio esistente non garantisce soltanto l’obiettivo di favorire gli operatori economici ma consente di intervenire senza necessità di consumare ulteriormente il suolo inedificato.
Il diritto di mantenere il parametro urbanistico non conforme alla norma sopravvenuta viene meno, con il conseguente obbligo di adeguamento, se il progetto prevede comunque una modifica del parametro medesimo.
Su rinvio del Tar della Lombardia di Milano, la Corte costituzionale con la sentenza n. 309 del 2011, dopo aver riconosciuto alla norma sulla ristrutturazione con demolizione e ricostruzione contenuta nel predetto art. 3 del Dpr n. 380 del 2001 la natura di principio generale della materia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 della Lr 12/2005 per contrasto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione (il quale impone, nelle materie rimesse alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, il rispetto dei principi contenuti nelle leggi statali).
La Corte costituzionale ha applicato con rigore i principi costituzionali relativi al riparto di competenze tra Stato e Regioni ma non v’è dubbio che il tema posto dalla norma della Lombardia fosse di sicura rilevanza presentando indubbi vantaggi tanto per gli operatori che per la collettività in quanto garantiva la necessaria flessibilità nel recupero dell’esistente mediante la facoltà di conservare il volume agendo con interventi intensi sulla tipologia e la sagoma dell’edificio.
Con la novella contenuta nell’art. 30 del Dl n. 69 del 2013 e la successiva legge di conversione, il legislatore nazionale è intervenuto direttamente sulla norma di principio riconoscendo così la validità della scelta seguita dalla Regione Lombardia, soprattutto in un periodo di forte crisi economica come è quello attuale.
La flessibilità nel riuso del patrimonio edilizio esistente non garantisce soltanto l’obiettivo di favorire gli operatori economici ma consente di intervenire senza necessità di consumare ulteriormente il suolo inedificato.
(tratto da Edilizia e Territorio Guide - 2013-08-26)
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